LA FAME EMOTIVA



Non riesco a sopportare quelli che non prendono seriamente il cibo.
Oscar Wilde

Il comportamento alimentare degli animali è sostanzialmente rigido e stereotipato, quello umano si presenta invece come il regno della massima diversificazione e creatività, per la gioia dei buongustai e dei cuochi.
Ebbene, dati questi ampi, anche se non illimitati margini di libertà dalle imposizioni nutrizionali della biologia, proviamo a chiederci: è possibile che le nostre scelte di gusto, ovvero i nostri peccati di gola, riflettano in qualche modo la nostra psicologia individuale, il nostro stile di vita, il tipo di organizzazione della nostra personalità?
L’apprezzamento per il dolce può essere associato al fatto che tale gusto è in genere presente in alimenti ad alto potere energetico e nutritivo, mentre quello per il salato può favorire l’assunzione di sodio e altri minerali. Il rifiuto per l’amaro può invece essere collegato al fatto che tale gusto è tipico di molte sostanze tossiche.
E’ indubbio tuttavia che, almeno a livello di connotazioni simboliche i vari gusti sembrano evocare contesti emozionali abbastanza diversificati, come risulta dalle metafore linguistiche associate: il dolce è tenero e infantile, il piccante è stimolante e attivante, il salato e l’acido danno una sensazione forte, che si estende anche nell’ambito dell’aggressività, l’amaro è adulto, associandosi a spunti depressivi ed espiatori.
LA FAME EMOTIVA
La fame emotiva può essere scatenata da una o più emozioni. Essa può protrarsi per un periodo di tempo di lunghezza variabile, da alcuni minuti, ad alcune ore, dopo l’insorgere dello stato emozionale. Può suscitare la voglia di un cibo specifico, di un alimento di una determinata categoria, oppure il desiderio generico dell’atto di cibarsi in sé.
Sembra che gli episodi di fame emotiva siano più ricorrenti tra le donne, in relazione a vissuti d’ansia, inquietudine, sentimenti negativi verso se stessi, rabbia, disagio generico, in concomitanza con una dieta molto restrittiva, o alternata a periodi di grandi abbuffate. In quest’ultimo caso, in particolare, sembra che la deprivazione di cibo renda più sensibili agli stimoli alimentari, che vengono percepiti più piacevoli, rispetto alla media.
Pare, inoltre, che le persone soggette a tali episodi siano particolarmente suscettibili a intensi sbalzi d’ansia e di depressione.
La fame emotiva si presenta secondo alcuni schemi temporali, specifici per ogni soggetto, in particolare: nel pomeriggio, alla sera, prima o dopo cena, oppure, in modo intermittente, nel corso della giornata.Al termine dell’episodio di fame emotiva, i vissuti più ricorrenti sono: il sentirsi soprappeso, anche se, nella maggior parte dei casi, non lo si è, la rabbia nei propri confronti, la stanchezza, il senso di colpa. Nonostante le possibili conseguenze negative connesse, l’abbuffata permette di raggiungere, in modo più o meno consapevole, un obiettivo: distrarsi, almeno per un periodo di tempo, dalle proprie emozioni negative.
Che fare, quindi, per fronteggiare la fame emotiva?
Le soluzioni possibili …
La prima cosa da fare consiste nel chiedersi che cosa vi sia alla base dei propri episodi di fame emotiva. Che cosa si desidera rifuggire? A cosa non si vuole pensare?
Si tratta di un senso di ‘vuoto’ che si tenta di colmare con il cibo? È un senso più ampio e diffuso di disagio ..? O.. che altro..? In quest’ottica, risulta fondamentale saper riconoscere e gestire le emozioni alla base di ogni comportamento umano.
In secondo luogo, si dovrebbe cercare di riscoprire il valore di se stessi come individui e i propri aspetti positivi. Si dovrebbe imparare a concedersi delle gratificazioni, quando necessario, e a non mortificarsi in continuazione, se non si rispecchia il proprio ideale di persona.
Si dovrebbe, infine, cercare di conoscere maggiormente se stessi, individuando in propri punti di debolezza e di forza, facendo leva su questi ultimi, per cercare di valorizzare se stessi, crescere interiormente, coltivare nuovi interessi e instaurare nuove relazioni sociali, in modo da distrarre il proprio pensiero dal cibo.