...DICA 33


Ogni medico dovrebbe essere ricco di conoscenze, e non soltanto di quelle che sono contenute nei libri; i suoi pazienti dovrebbero essere i suoi libri.
Paracelso

Il buon medico di famiglia…quello che ci spiegava le cose con calma, competenza e calore umano…quello che si ricordava la nostra storia medica e sapeva chi eravamo…quello che ci guardava negli occhi e non pensava solo a scrivere i nostri dati sul computer…quello che quando uscivamo dallo studio ci fidavamo davvero e ci sentivamo sollevati dentro…
Altri tempi …la comunicazione medico-paziente oggi è spesso insoddisfacente e frustrante per entrambi, sia sul piano verbale che su quello non verbale.
Il rapporto medico paziente oggi si risolve spesso in una visita sbrigativa, spersonalizzata ed insoddisfacente per il paziente, che si sente non capito, e per il medico, che vede i suoi sforzi terapeutici vanificati dalla mancanza di collaborazione da parte dell’assistito.
La mancanza di comunicazione in effetti va a discapito di entrambi i soggetti dell’interazione a scopo sanitario.
Quando si tratta di salute, il paziente vive spesso il responso con ansia, paura e preoccupazione; per cui, trovarsi di fronte qualcuno che sembra non capirlo o non cogliere le sue esigenze emotive, rende il consulto un’esperienza molto frustrante;
per altro, anche l’intervento terapeutico risente di una comunicazione lacunosa o carente.
Una lamentela comune fra i pazienti è che il medico dedichi loro poco tempo: si sentono perciò trascurati ed incompresi.
Così, compatibilmente con i propri impegni e con il numero di visite, non è una cattiva idea prolungare l’incontro di un paio di minuti; tanto per far sentire all’assistito che lo si considera anche come persona.
Gli atteggiamenti che maggiormente demotivano o stizziscono il paziente vanno da un’accoglienza fredda, al mostrarsi saccenti e autoritari, all’assumere una condotta eccessivamente formale.
Contrastare in modo aperto e perentorio affermazioni del paziente o non prestarvi attenzione sono altri comportamenti che creano malcontento.
Un atteggiamento che irrita parecchio il paziente è squalificarlo come interlocutore; questo accade ad esempio quando il medico usa una terminologia troppo tecnica e specialistica, lo interrompe spesso e non risponde alle sue domande dirette.
La mancanza di tatto da parte del dottore è vissuta in modo molto negativo: mostrarsi critici, scettici o colpevolizzanti sull’esperienza del paziente o fargli domande molto personali, specie se in modo brutale, o anche interrogarlo su questioni non legate al motivo della visita danno infatti parecchio fastidio al paziente.
Talvolta una visita comporta un esame tattile: non dire niente o borbottare commenti e opinioni durante la palpazione come parlando fra sé e sé è particolarmente umiliante e frustrante per l’assistito.
Un medico dovrebbe cercare di creare un clima tranquillo e sereno durante lo svolgimento della visita: così se mostra ansia, irritazione, nervosismo o tratta il paziente come uno scolaretto, ripetendogli in modo ripetitivo e con fare “pedagogico” delle raccomandazioni provoca in quest’ultimo del risentimento.
Riconosco che lo “sforzo” che viene richiesto ad un medico è enorme perché nel suo lavoro deve assolvere ad una molteplicità di richieste:
in primo luogo deve saper ascoltare, saper farsi "recettore" di tutto ciò che un paziente "porta" nel suo studio anche in termini emotivi;
in secondo luogo (praticamente in contemporanea con il primo) deve saper essere "neutro", e cioè essere privo di pregiudizi nei confronti del paziente;
in terzo luogo deve saper "comunicare" (attraverso disponibilità, espressione di attenzione sincera), spiegando cioè al paziente, con un linguaggio accessibile a tutti.

...Tanti fattori!ma non dimentichiamoci che un medico…è medico…non fa il medico .Aldilà di qualsiasi ipocrisia la sua è davvero una missione che richiede sforzi e qualità che trascendono persino la competenza tecnica che è sicuramente indispensabile.
Nell’attività di ogni medico, deve essere presente, come dicevano i latini, il “facere” e la dimensione dell’“agere”, cioè l’attività di cura e la capacità di supportare tale attività con energie spirituali, in grado di aiutare a servire meglio l’uomo e la società.